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PAGARE PER CORRERE LETTERA SHOCK

larciano

«Ho costruito il mio sogno di diventare ciclista professionista in dieci anni di fatica. Per distruggerlo è bastata una cena di due ore». A fine 2012 il toscano Matteo Mammini, 22 anni, vanta uno dei migliori curriculum tra i dilettanti italiani. Campione nazionale a cronometro, arriva 4° agli Europei e 6° ai Mondiali Under 23 battendo futuri campioni come Domoulin, Navardauskas, Dowsett e Kwiatkowski. Se la cava bene anche nelle corse a tappe.

«Così — racconta — quando un celebre team manager italiano mi ha invitato a cena ho pensato alla svolta. Sapeva tutto di me, mi ha spiegato quanto importanti sarebbero state la mia versatilità e la mia serietà nella sua squadra. Il mio primo contratto da professionista era pronto. Con un dettaglio da sistemare: avrei dovuto tirar fuori io i 50 mila euro dello stipendio». Alla richiesta Mammini restò senza parole. «Rimasi di ghiaccio — spiega — e il manager interpretò a modo suo il mio disagio. Scrisse su un tovagliolo i nomi dei suoi 8-9 atleti che si pagavano lo stipendio, con relativi sponsor: i genitori, uno zio, una piccola azienda, una concessionaria di auto. Se uno cerca trova, disse». Pochi mesi dopo, Mammini lascia il ciclismo. «Ho chiesto 50 mila euro di prestito in banca — racconta — non per correre ma per ristrutturare un bar a Porlezza, sul lago di Lugano. Quello oggi è il mio lavoro. Il ciclismo è un sogno finito malissimo».

Diventare ciclisti professionisti pagandosi lo stipendio da soli. Un fenomeno che in Italia ha raggiunto livelli preoccupanti. Non tra i 35 azzurri che hanno la fortuna di gareggiare nei team di livello World Tour ma tra i 150 che galleggiano tra la seconda serie (team Professional) e il variopinto pianeta delle squadre Continental, una serie C quasi senza regole. Accettare il ricatto, sperando in una vittoria che garantisca un passaggio di serie o per far sopravvivere un sogno o piuttosto un’illusione. Rifiutarlo sapendo che il no si pagherà emigrando all’estero, scendendo di categoria o, come è capitato a Mammini, cambiando lavoro pur avendo qualità per fare bene il mestiere.

Simone Antonini, 24 anni, ha scelto il Belgio: «Ero un ottimo dilettante, in Italia ho ricevuto solo proposte a pagamento. Ho deciso di non accettarle. Corro con un team (la Wendy) che mi ha fatto fare Fiandre e Roubaix. Mi pagano, sono a posto con la coscienza».

Christian Delle Stelle ha galleggiato quattro stagioni in team italiani prima di trovare un posto fisso in Polonia: «In Italia chiedevano 40 mila euro l’anno per correre. E a fronte di 1.700 euro di stipendio, 800 dovevano tornare al team manager in nero. In Polonia sono pagato regolarmente. Se devo pagare per correre vado a lavorare in fabbrica».

In fabbrica — letteralmente — c’è finito C. (l’atleta ha chiesto l’anonimato) ottimo gregario per tre stagioni in un grande team azzurro: «Ero al minimo ma almeno non pagavo — spiega — fino a quando hanno ingaggiato un corridore sponsorizzato dal padre industriale che pagava lo stipendio anche a un amico-gregario del figlio. Uno davvero scarso. Mi hanno fatto fuori anche se avevo un contratto pluriennale».

Come è possibile cacciare un atleta in questo modo? Lo spiega Christian Salvato, segretario dell’Associazione Corridori: «È un fenomeno odioso, che stiamo provando a combattere — riconosce — . L’atleta firma per tre anni, ma firma tre contratti separati di un anno ciascuno, ricevendo la copia solo del primo. Se il team manager vuole liberarsi di lui, straccia le copie degli altri e così risolve il rapporto».

Marco Bonarrigo per “corriere.it”

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One thought on “PAGARE PER CORRERE LETTERA SHOCK

  • La cosa piu’ spiacevole è che tutti sanno compresa la direzione FCI …che caso mai squalifica l’atleta che denuncia queste cose, che da anni stanno facendo ingrassare i team Menager italiani, affiliati in atri paesi (paradisi fiscali) poi ci lamentiamo che gli Sponsor non ci sono… ma secondo voi un’azienda intenzionata alla cosa che motivazioni ha quando sa che i soldi non servono per ragazzi (carne da macello), ma finiscono nelle tasche dei vari…………sicuramente si orienta verso cose piu’ serie e credetemi che lo sanno perche’ tanti entrano poi escono subito??? provate a porvi la domanda…Ma il Presidente FCI sinon cura queste cose deve pensare al suo stipendio e a sistemare l’amico dell’amico, e pensare a giustificare i 2,6 milioni di euro di debiti comparsi all’improvviso nei bilanci altro che i professionisti che se vogliono correre pagano……e la base giovanile che sta morendo l’importante è arrivare a fine mandato poi chi se ne frega di chi per anni ha fatto volontariato per i ragazzi speranzosi di passare professionisti…ma mancano 50 mila euro che dopo tanti anni devi trovare a meno che non sei veramente una promessa. In pochi anni il ciclismo vedra’ il sonetto mortuario affisso in tutto il paese.. i manager hanno insegnato non si fa nulla per niente e Voi poveri sentimentalisti che seguite i ragazzi dai 7 ai 16 anni gratis fatevi furbi … me compreso che da 32 anni seguo e faccio promozione per il ciclismo sia amatoriale che cicloturistico e da 20 seguo ed amministro una societa’ che arriva fino agli allievi…Ma l’importante che ci siano tanti tesserati dai 7 ai 12 anni che da questo anno si vedono raddoppiata la tessera, che a 14 anni smettono stressati dall’agonismo e che se non vincono non trovano squadra da juniores…ma chi se ne frega dopo il mandato l’uomo del monte potrebbe anche andarsene…Ciao ciclismo che muore…ultimo saluto.

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