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Grand Hotel doping, nella stanza magica dove il sangue migliora di notte

GORELJECK – Non serve sognare. Basta dormire per diventare campioni. Nel senso che nel Grand Hotel doping è necessario appena sdraiarsi su un divano, leggere un libro, magari aprire il frigo e scegliere una a caso tra le decine di barrette energetiche a disposizione per andare sempre più forte, sempre più forte. “Dodici ore al giorno per almeno undici giorni e la prestazione migliora. Dal cinque al quindici per cento”.

Goreljeck, Slovenia, altopiano di Pokljuka, nel cuore del parco nazionale del Tricorno. Qui Tito veniva a sparare agli orsi, anche se, ricordano i vecchi, l’orso lo prendeva sempre la guardia del corpo di Tito che lo seguiva qualche metro dietro e sparava insieme a lui. Ora, in un posto immerso tra neve e laghi ghiacciati, la vecchia magione di Tito è diventata un albergo, Villa Triglav. Dodici posti letto. A gestirlo è un ex ciclista, Tadej Valjavec, un ottimo scalatore, tre volte nei primi dieci fra Tour de France e Giro d’Italia negli anni 2000, incappato più volte nei controlli dell’Uci per possibili alterazioni nel “passaporto biologico” e allievo del dottor doping, Michele Ferrari.

Tadej quando ha ristrutturato questa baita, ha avuto un’illuminazione: farne un’enorme tenda ipossica. Così ha investito 100mila euro in un impianto senza eguali e oggi gli basta girare una manopola per far diventare l’aria delle stanze identica a quella che si respirerebbe a 4-5mila metri. “Posso regolare la percentuale di ossigeno di qualunque camera. In questo modo posso abbassare la saturazione del sangue per chi si trova all’interno e quindi procurare enormi benefici agli atleti. L’ho provato su me stesso e garantisco: funziona!”. In sostanza Tadej simula l’alta quota, stimolando così la produzione di globuli rossi dei suoi ospiti, contribuendo a un maggior trasporto di ossigeno ai loro muscoli, e aumentando la soglia della fatica e la produzione endogena dell’ormone della crescita. Se qualcuno avesse dei dubbi, poi, sulla qualità della “cura”, basta che si vada a sentire le intercettazioni proprio di Ferrari, che consigliava la struttura a uno dei suoi atleti, il ciclista Diego Caccia: “Valjavec (…) ha fatto un impianto centralizzato che pompa azoto nelle varie stanze e tu puoi regolare l’altitudine (…) aggiungi l’altitudine che vuoi ed è, cioè sicuramente funziona e lì… sei in Slovenia vaffanculo “.

Ecco, qui Ferrari introduce la seconda parte del discorso. Quella fondamentale. “Sei in Slovenia”, dice. E non è un particolare. In Italia il Grande Hotel doping non potrebbe esistere perché la legge italiana (la 376 dell’aprile 2000) dichiara illegale questa pratica, perché è dannosa per la salute e altera le prestazioni sportive. Quindi dopante. Tadej lo sa, ride, e svela la grande ipocrisia. “In alcune parti del mondo questo è doping, in altre no. Le federazioni fanno finta di non vedere” racconta mentre cucina una fantastica zuppa slovena, con manzo e grano saraceno. “Il risultato è che tutti lo fanno: lo faceva Schwazer, la maschera che aveva quando dormiva accanto alla Kostner era un respiratore di questo tipo qui, lo fanno tutti gli atleti. Alcuni comprano la tenda, ma è scomodo vivere dodici ore al giorno sotto una tenda, altri, i più ricchi, se la costruiscono in casa. E non solo i ciclisti o i fondisti. Ho letto che Djokovic ne ha una, il Real Madrid la usa, il Barcellona anche. Lo fanno tutti, lo facevano quando io correvo e lo continuano a fare ora. Ma in Italia, a un’ora di macchina da qui, fanno ancora finta di non vedere”.

Chi sono i clienti dell’Hotel Doping? “Squadre per lo più” dice Tadej, con una certa riservatezza. Vengono ciclisti e fondisti, sia dell’atletica sia dello sci. È appena andata via la squadra nazionale ucraina di mountain bike. Alla campionessa del mondo il livello di ossigeno nel sangue non voleva proprio scendere. “Glielo controllavo io con questa macchinetta qui” racconta, mostrando una specie di scatoletta nera che si poggia sul dito. “Il valore normale è 99-100, per noi va bene se scende tra i 94 e 93, ma non voleva andare giù. Abbiamo alzato fino a quattromila… Gli altri sarebbero crollati”.
Il cervellone dell’impianto è nel garage dell’hotel. Sottochiave, un uso improprio potrebbe essere pericolosissimo. I bocchettoni sono mimetizzati nelle stanze, nascosti nelle pietre a vista sulla parete. “Ma i miei clienti non sono soltanto professionisti. Pubblicizzandolo bene sui canali giusti arrivano anche molti amatori che cercano di migliorare le loro prestazioni: io lo dico sempre, non aspettatevi miracoli ma miglioramenti sì. Però dovete anche fare vita d’atleta, se no è inutile”.

Per il Nas di Firenze che ha condotto l’indagine della procura di Padova sul doping nel ciclismo italiano, Tadej era uno dei punti fermi della squadra di Ferrari, tanto da diventarne poi anche “rappresentante”: era lui a trovare nuovi atleti nel gruppo. Lui non ne fa certo un mistero. “Michele è un mio amico e anche il miglior preparatore che possa esistere. Punto. Il suo non è doping. Ma allenamento, personalizzato. Che sfrutta le migliori tecnologie. Ricordo le preparazioni con lui a Tenerife, sotto il vulcano. C’era anche Nibali, anche se aveva altri allenatori. Ma quelli che erano con Michele andavano più forte. Perché? Era il più bravo. Quando ho aperto villa Triglav è venuto qui, ha visto l’impianto e mi ha fatto i complimenti “. Racconta che per i prossimi mesi è tutto pieno. Turisti, certo, ma anche corridori. E se li beccano? Sorride. Si può sempre fare come Tito, e dire che si è andati a caccia di orsi.

fonte Repubblica.it

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