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MALTINTI LAMPADARI PARLA SCARSELLI

foto di repertorio

 

Leonardo Scarselli ebbe a che fare per la prima volta con Renzo Maltinti nel 1993, vale a dire ventinove anni fa. Era uno juniores che stava passando tra i dilettanti proprio nella storica formazione toscana. Ci sarebbe rimasto tre anni. «Ero un ragazzo, non avevo nemmeno vent’anni, ma ricordo come se fosse oggi la bella impressione che mi fece Renzo: deciso, rispettoso, educato, affidabile. Un signore: gli ho sempre visto e sentito mantenere la parola data. E un grande appassionato. Di tutto, intendo: di ciclismo e di vita. Qualcosa devo aver imparato, se è vero che poi tra i professionisti ho partecipato a sette edizioni del Giro portandone a termine sei nello spazio di dieci anni scarsi».

Poi, una volta terminata la carriera, venne a ricercarti.

«Sette anni fa, se non sbaglio. Mi chiese se ero disponibile per dargli una mano coi suoi ragazzi. Figurarsi, ero stato uno di loro, come avrei potuto dirgli di no? La volontà di continuare me l’aveva ribadita più volte anche quest’anno: però mi piacerebbe che anche te rimanessi con noi, mi diceva».

E tu cosa gli hai risposto?

«Che sarei rimasto, certo. Non è stato facile parlare di futuro con una persona non in salute, quindi il discorso l’abbiamo sempre tirato in ballo e mai affrontato fino in fondo. Poi ci hanno pensato i figli a prendere in mano la situazione: grazie al loro impegno e alla loro disponibilità, la Maltinti esisterà anche il prossimo anno».

Con quali ambizioni, Leonardo?

«Non siamo una corazzata, bisogna essere realisti. Però non partiamo battuti. Anzi, ci aspetta una responsabilità ulteriore: chi vestirà la maglia della Maltinti, nel 2023 dovrà dare tutto quello che ha per onorare la memoria di Renzo. Con onestà, sacrificio e passione: i valori che lui stesso incarnava. Glielo dobbiamo. Ed è il modo migliore per sdebitarsi nei confronti dei suoi figli e di tutti quegli sponsor che, nonostante la sua scomparsa (avvenuta lo scorso 3 ottobre, ndr), hanno deciso di rimanere al nostro fianco».

Quanti corridori avrete?

«Credo non più di otto, con un giusto bilanciamento tra giovani ed esperti. Non nascondo una punta di dispiacere per tutti quei ragazzi che hanno deciso di andarsene dopo la buona stagione appena terminata. Secondo me, se fossimo rimasti insieme, sarebbe potuto venir fuori un progetto interessante».

 

A chi ti riferisci?

«A Pirro, a Spinelli, a Dati. So che i primi due vorrebbero accasarsi in una continental, qualcuno mi aveva accennato addirittura di una professional. Dati, invece, sarebbe stata forse la nostra punta di diamante: è un secondo anno che, pur non avendo vinto, ha raccolto ottimi risultati come il quinto posto al Città di Empoli e il sesto al Trofeo Zappi e al Giro del Veneto. Peccato, ma i corridori vanno e vengono».

Lo dici con rammarico o con scetticismo?

«Rammarico sicuramente, come ti dicevo avevamo costruito un bel gruppo e secondo me sarebbero potute arrivare altre soddisfazioni. Per il resto, cosa vuoi che ti dica: ognuno è libero di prendere le proprie scelte e di giocarsi le proprie chance come meglio crede. Questi ragazzi sono giovani, è vero, ma non sono più dei bambini: iniziano a conoscere piuttosto bene il mondo del ciclismo e il suo funzionamento, insomma».

Secondo te perché hanno deciso di cambiare aria?

«Non sono nato ieri, mi rendo conto che la Maltinti ora come ora non ha il fascino di una continental che va a correre all’estero. Però, talvolta, questo fascino è apparente. Andare a correre altrove, magari in una squadra più forte, ricca e rinomata, non significa trovare la strada spianata. Io credo che la nostra realtà, almeno per alcuni di loro, era perfetta. Bisogna essere consapevoli dei propri limiti, lo dico tanto per noi quanto per loro».

Come hai detto tu stesso, la vostra stagione è stata forse la migliore da diversi anni a questa parte.

«E’ stata una bell’annata, atleticamente parlando. Abbiamo vinto tre corse che per il nostro livello non fatico a definire prestigiose: il campionato toscano degli elite con Molini, la Firenze-Mare con Spinelli e il Cuoio e Pelli con Pirro. E abbiamo raccolto anche più d’un piazzamento. Siamo soddisfatti, insomma».

C’è una vittoria che ti ha emozionato più di altre?

«Forse il Cuoio e Pelli. Da dilettante la vinsi anche io, fu uno di quei successi che mi permise di attirare l’attenzione del mondo dei professionisti. Sono legato a Santa Croce e all’ambiente ciclistico che ci gira attorno. Però, senza voler fare favoritismi, tutte e tre le vittorie sono state di spessore. Ripeto, peccato perdere alcuni dei nostri migliori ragazzi in vista del prossimo anno. Auguro loro di trovare la sistemazione migliore, davvero. Ma l’esperienza mi fa dire che in alcuni casi nelle squadre più piccole ci si trova meglio che in quelle grandi».ù

 

servizio a cura di Davide Bernardini per Bicisport

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